PROLOGO: Monte Wundagore,
Transia
“Dunque?”
“Siamo pronti, Sir Lionus.
Attendiamo solo il suo ordine.”
Per quanto ne sapeva
l’umanità, quella di Wundagore era solo la montagna più alta della Transia. Un
pugno di persone era al corrente del vibranio
presente nelle sue viscere.
Ancora meno, parlando di
esseri umani, sapeva della fantastica comunità
nascosta dalle granitiche pareti. Un vero e proprio villaggio medioevale
nell’aspetto, protetto da una fortezza che sembrava uscita da un racconto di
fantascienza.
Ma ancora più sorprendenti
erano gli abitanti: i loro genitori
furono figli della scienza, animali portati ad uno stadio che li rendeva
eguali, se non superiori, agli esseri umani. La corrente generazione dei
Wundagoriani, tanto nell’aspetto quanto nella mentalità, portava avanti gli
ideali dei padri fondatori.
Come i due Cavalieri di Wundagore intenti a
discutere sul futuro della loro gente, mentre passeggiavano per i viali alberati,
circondati di loro simili delle più svariate specie.
Sir Lionus, di aspetto fedele
al suo nome, Primo Cavaliere del Concilio della Tavola Rotonda, disse, “Non
credevo che sarei arrivato ad esitare, lo sai?”
L’interlocutore di Lionus era
un Cavaliere di ordine inferiore, tecnicamente parlando, ma sulle cui spalle
stava per gravare una responsabilità senza pari. Lord Alexander era un canide, un Cane-Lupo Cecoslovacco per la
precisione. “Quale leader non esiterebbe, di fronte al futuro dei suoi
protetti?”
Lionus annuì gravemente. “Si
sta creando una grande aspettativa, Alexander. Non potete fallire, la comunità
ne sarebbe dilaniata.” E non era un’esagerazione: ferree regole sulla
riproduzione, sul comportamento e su quant’altro potesse regolare l’esistenza
del limitato habitat di Wundagore erano servite a contenere l’esplosione demografica
ed a mantenere l’ordine. Ma era anche servito l’adattamento ad una situazione
apparentemente stabile e senza alternative. La paura degli esseri umani era un
altro forte deterrente all’espansione…
Ma ora…ora, per la prima volta
in molti anni, si prospettava la vita in un nuovo mondo, dove i Wundagoriani
avrebbero potuto prosperare in pace, lontani dalle beghe degli uomini. La voce
della popolazione, una volta sparsasi la parola, era stata unanime: bisognava
andare ad Avalon.
MARVELIT presenta
Episodio 2 - L’onore ed il sangue (I parte)
La porta si aprì, e Alexander
entrò nell’hangar.
Il locale dalla pianta a
cupola era costellato di rastrelliere, sulle quali poggiavano, in file geometriche,
i nuovi destrieri atomici dei
Cavalieri. Le cavalcature cromate, dalle linee così morbide che sembrava
avessero dipinto una patina metallica sulla carne viva, erano simili a tanti
pegasi, ma con un muso da drago e una corona di corna che andava dalla sommità
del cranio fin lungo le guance. Le ali erano ripiegate lungo i fianchi. Le
zampe erano ripiegate per adattarsi alle rotaie.
Sei destrieri, disposti a
coppie erano già pronti sulle tre rampe di lancio, con tre unità sulla rampa
centrale.
I sei cavalieri che avrebbero
accompagnato Lord Alexander in questa impresa erano già pronti ognuno vicino al
proprio destriero:
Ø
Lady Raska,
sorella gemella di Alexander.
Ø
Lady Ursula,
una possente grizzly grigia.
Ø
Lady Vermin,
un ratto bianco, rimasta, nelle dimensioni, identica ai suoi antenati. Sedeva
sulla spalla di Ursula.
Ø
Sir Kahn,
una tigre indiana con un codino e folti baffi spioventi.
Ø
Sir Rahn, un
falco.
Ø
Bagheera, a
chiudere la formazione. Una femmina di pantera nera, caduta in disgrazia e privata
del titolo, ma elemento ritenuto indispensabile da Alexander…e non solo da lui.
C’era un settimo elemento, nel
gruppo, un’apparente nota stonata, in quanto, per anni, il Creatore di tutti i
Wundagoriani, l’Alto Evoluzionario, era
stato il solo essere umano della Cittadella-Fortezza.
La donna dai capelli neri ed
il volto tatuato di nome Lyesa non era una donna, tuttavia: era una licantropa,
un membro della tribù perduta dei Tuatha
da Danaan. Era la ragione per cui questa nuova avventura stava per avere
inizio.
Appena Alexander fu arrivato,
Lyesa si fece avanti. “Porto nuove preoccupanti, Cavaliere,” disse, dopo un
breve chinare della testa. “Il branco migratore, la linfa vitale per la nostra
gente, è ancora fermo in Germania. I protettori del Popolo si stanno
riorganizzando dopo un duro scontro con un avatar di Chton[i].
Toccherà a noi difendere il branco fino a quando i protettori non saranno
pronti, e ho già avuto rassicurazioni in tale senso che non ci metteranno
molto.”
Alexander annuì. “Così sia,
lady Lyesa. Adempiremo il nostro compito senza fallo.” Non ci fu timore, non ci
fu esitazione, per lui, per i Cavalieri, quello sviluppo era un problema come
un altro, non certo un ostacolo insormontabile. Lyesa era soddisfatta: queste
creature avrebbero saputo davvero fare il loro dovere fino in fondo.
Alexander si avvicinò al suo
cavallo. Saltò in sella, imitato dagli altri in rapida sequenza. Lyesa salì
dietro Alexander.
I Cavalieri presero gli elmi
fissati ai pomoli delle selle e se li misero con pochi gesti secchi. Quindi il
loro sguardo si fissò sul display alla base del collo del loro destriero.
La porta dell’hangar si aprì.
I display segnalarono il GO
con una fila di luci verdi
Con un ronzio, la catapulta
magnetica lanciò un destriero dopo l’altro, ad un’accelerazione da voltastomaco.
Un osservatore esterno avrebbe
visto sei gusci metallici spuntare direttamente dalla montagna. Subito dopo, i
gusci spalancarono le ali, mentre le zampe rimasero piegate.
“Lancio eccellente, Cavalieri.
Inserire teleporter sulle coordinate.” L’Alto Evoluzionario, prima di lasciare
i suoi Cavalieri per ricostruire la Contro-Terra, aveva deciso di potenziare le
dotazioni dei suoi ‘figli’, in modo che potessero difendersi da soli con
maggiore efficacia.
Una
delle novità, installate nei nuovi destrieri, era un dispositivo di
teletrasporto. Con un lampo, i destrieri scomparvero.
“E così è iniziata,” disse la
languida voce femminile, mentre una affusolata mano coperta di bianca
pelliccia, dagli artigli affilati e laccati di rosso sangue, passava una
spazzola lungo il braccio opposto. “La corsa per il nuovo mondo...un’occasione
unica per stabilire nuovi equilibri di potere, nuove prospettive per la nostra
gente soggiogata da inutili regole arcaiche.” La voce echeggiava dolcemente
nell’ambiente dalle pareti di pietra, increspandosi con il suono dell’acqua
appena smossa.
La femmina di sciacallo,
immersa fino a metà torace in una polla al centro della stanza, continuò la
propria toelettatura con gesti lenti, misurati. Le spalle ed i seni erano sotto
la cura di due suoi simili, maschi, neri come il carbone, ‘vestiti’, se così si
poteva dire, come rappresentazioni dell’oscuro dio egizio Anubi.
La femmina depose la spazzola
su un vassoio d’argento retto a due mani da un terzo maschio. Si appoggiò con
la schiena al bordo della polla e si lasciò frizionare dietro le orecchie. “Magus Kaa, sei in grado di seguire i
Cavalieri ovunque si trovino? O la tua era solo una vuota promessa?”
Un quarto sciacallo, in piedi
al lato opposto della polla, stava reggendo fra le mani una sfera di cristallo.
Ed in essa, il muso del cobra reale sorrise. “Magus Kaa non promette mai a vuoto, Lady
Anubia. So esattamente dove sono i Cavalieri e la loro alleata. Posso
colpirli in qualunque istante, mi dia solo l’ordine.”
“L’ordine dovrà attendere,
temo.”
“Milady?”
“Ti ho ordinato solo di osservare
i loro movimenti, niente di più: non intendo rischiare il coinvolgimento diretto
del Popolo nei nostri affari. Il
Power Pack non è un nemico da sottovalutare.” Anubia si alzò in piedi, la
pelliccia coperta da gocce d’acqua come da gioielli. Subito i due maschi iniziarono
a trattarla con le spazzole. “Usa questo tempo per analizzare i punti deboli di
questi Cavalieri. Quando verrà il momento di colpire, lo saprai da me solo.”
Il
rettile chinò la testa incappucciata. L’immagine scomparve.
Mentre si svolgeva questa
conversazione fra i cospiratori, i Cavalieri riapparvero nei cieli tedeschi
-per la precisione, sulla perpendicolare di un antico castello immerso in una
vasta foresta, al confine franco-tedesco.
Le condizioni dell’edificio
non sembravano le migliori: il tempo e la foresta stavano lentamente
prendendosi la rivincita sulla massiccia opera umana. Le pareti erano coperte
di viticci lussureggianti, la corte interna era un tappeto d’erba alta. Gli
squarci causati dalle bombe, una guerra mondiale fa, non erano mai stati
riparati. La strada d’accesso era stata inghiottita dalla foresta. Quel luogo
era senza dubbio abbandonato da molti, molti anni.
Alexander controllò sul
pannello la presenza di segni di vita all’interno del castello. “Tredici segni
vitali…tutti compatibili con la tua specie,” disse, rivolto a Lyesa.
Lei annuì. “Il numero
corrisponde, milord. I dodici migratori più il possidente del castello che li
sta ospitando.”
“Bene. Cavalieri, scendiamo
nella corte.”
L’atterraggio dei destrieri
avvenne sotto gli occhi di uno spettatore attentamente nascosto nell’ombra.
Fu Lyesa a scendere per prima.
“Milady, è imprudente…” tentò Alexander. Lei lo ignorò; rivolta alle cieche
finestre, ergendosi in tutta la propria dignità, Lyesa, nella lingua dimenticata
dei Celti, disse, «Conte! So che ci sta osservando! Coloro che mi accompagnano
sono i Cavalieri il cui aiuto ero andata a cercare. Ci proteggeranno
nell’attesa del Power Pack. Il branco migratore non corre pericoli.»
I Cavalieri, pur non apparendo
tali, si tesero, pronti ad estrarre le spade in un baleno -l’Alto Evoluzionario,
con l’aiuto dell’ispiratore dell’Ordine dei Cavalieri, il frate Magnus, aveva sottoposto i suoi migliori
Nuovi Uomini ad una serie di corsi sulle lingue perdute d’Europa, inclusa
l’antica lingua dei Celti.
Capivano ogni parola
pronunciata da Lyesa, e non apprezzarono affatto l’idea di trovarsi in un potenziale
svantaggio…
Nell’ombra di un ingresso
senza più la porta, un paio di occhi si accesero. “Hmf, non saranno fuori
pericolo fin quando non saranno a casa,” disse una voce profonda, bassa,
ringhiante.
Un attimo dopo, dall’ombra
emerse prima un piede inguainato da un lucido stivale nero, seguito da una
gamba coperta da uno spesso tessuto pure nero…poi l’anfitrione emerse del tutto.
Era un lupo mannaro inguainato da un robusto costume imbottito di pelle, con
una cintura dalla fibbia larga torchiata, e borchie sugli avambracci. Solo le
mani artigliate e la testa dal pelo rossiccio erano scoperte. In qualche modo,
quell’abbigliamento non faceva che esaltare le forme selvagge della creatura
dagli occhi rossi.
“Sono
il Conte Leonhardt von Königsblut. Benvenuti nella mia umile dimora, Cavalieri. Potete togliervi
l’elmo.”
Gli elmi erano aerodinamici,
con una visiera di cristallo monodirezionale, che permetteva di vedere senza
essere visti in volto. I Cavalieri li rimossero.
Alla loro vista, il Conte
annuì. “Molto bene. Il branco migratore si trova al sicuro nelle stanze interne,
le più protette. Seguitemi.” E tornò dentro.
L’interno, se possibile, era
ancora più desolato, un triste riflesso della gloria di una dinastia rappresentata
dal suo ultimo figlio. Non c’era più un solo mobile, ogni opera d’arte era
scomparsa, pezzi arrugginiti di armature erano sparpagliati qua e là sul
pavimento. C’era ovunque uno sgradevole odore di muffa e di vecchio, così forte
da nascondere quello del suo proprietario.
“Questo posto le appartiene?”
chiese Ursula, dubbiosa -per lei, una simile noncuranza della propria
abitazione era inconcepibile.
Leonhardt annuì. “La mia
famiglia lo ha curato per quasi settecento anni…ma la mia famiglia ha fatto il
suo tempo, ormai. Sono l’ultimo, e non ci saranno altri dopo di me.”
“Perché?” chiese Bagheera.
Il Conte esitò, prima di
rispondere, “Le foreste sono il mio territorio di caccia, ma la Germania è la
mia patria: per lei ho combattuto al fianco dei Nazisti, ho contribuito a
formare una branca molto speciale delle forze elitarie del Führer, i suoi Wervolfen.
Ho fatto il mio dovere, ma mi sono macchiato di disonore: sono sfuggito al
Processo di Norimberga, ma non sfuggirò al mio destino. La mia dinastia finirà
con me. Aiutare questo branco è una piccola cosa, ma almeno avrò lavato qualcosa
dell’onta.”
La pantera provò un’istintiva
simpatia per questa creatura: la storia di lui rifletteva molto bene quella di
lei, costretta al sacrificio del proprio onore per aiutare la sua gente…
Il gruppo giunse in un salone.
Lì, trovarono ad aspettarli dodici lupi mannari, tutti esemplari adulti, tutti
nel fiore degli anni: sette maschi e cinque femmine.
Lyesa si avvicinò alla coppia
più robusta e li salutò con una strofinata di muso. “Siamo pronti. Questi
Paladini saranno di guardia mentre attendiamo i protettori. Potete fidarvi di
loro.”
Il resto delle presentazioni era
stata una mera questione di formalità, un riconoscimento dei ruoli. Dopo,
Alexander organizzò i turni di guardia, assegnando ad ogni Cavaliere un settore
del castello…
Sir Kahn percorse il suo
settore con la calma e la freddezza del cacciatore, trasformando in disciplina
gli istinti dei suoi selvaggi antenati. Nulla sfuggiva alla sua attenzione, e
le sue emozioni erano sotto il più ferreo controllo. Non c’erano dubbi o timori
nella sua mente, solo il desiderio di svolgere al meglio il suo compito…
?
Movimento! Lì, appena dietro
l’angolo, un lembo di tessuto sparito senza un fruscio.
La tigre si mosse velocemente,
con un passo sorprendentemente leggero per una creatura come lei, e con tutta
l’armatura. Raggiunse l’angolo…ed eccolo lì, il lembo di stoffa, chiaro,
luminescente, sparire dietro un altro angolo. Kahn si trovava ora all’inizio di
una scala a chiocciola. La scala correva lungo i resti di una torre. Lo
spicchio lunare spiccava come una lacrima bianca fra le travi ed i muri
squarciati.
Istintivamente, Kahn annusò l’aria,
poi ripeté l’operazione con gli scalini -niente odore. Un fantasma?
Improbabile, ma non impossibile: dopotutto, la prima generazione di Cavalieri
si era battuta contro l’immondo Chton in persona. Un fantasma sarebbe stato il
minore dei problemi…fin quando non avrebbe costituito un pericolo.
Vuoi che ti segua? Arrivo!
Kahn iniziò a percorrere le scale. Compì una serie di giri apparentemente
infinita, prima di doversi fermare davanti a uno squarcio nella rampa!
Il Cavaliere stava
considerando seriamente di saltare quel buco…quando provò un brivido lungo la
schiena! Il pelo del collo gli si drizzò tutto, mentre questo veniva sfiorato
come da un soffio di aria così gelida da penetrargli nell’anima.
Kahn
si voltò di scatto…solo per venire spinto per il petto da un paio di mani
avvolte da un sudario! Colto di sorpresa, mise un piede in fallo…e finì nella
buca. Subito dopo, l’intera struttura crollò sul Cavaliere.
Ursula si avvicinò al grande
pozzo che si apriva nel mezzo della stanza. Si sporse leggermente in avanti,
per osservarne l’interno, ma per quanto sforzasse gli occhi, non ne vedeva il
fondo.
“Scommetto che se lanci una
moneta, non la senti arrivare alla fine,” disse Vermin. “Questo pozzo non mi
piace per niente.”
“Sono d’accordo: e l’aria che
viene da laggiù…” annusò rumorosamente “…sa di cattivo, come se questa fosse
una tomba.” Ringhiò leggermente. “Non mi fido di quel Conte. Ci nasconde molto
più di quello che ci dice.”
Il ratto saltò giù dalla
spalla dell’orsa, per mettersi in piedi sul bordo del pozzo. “Non ti fideresti
di nessun lupo, questa è la verità: anche una talpa vedrebbe che lady Lyesa ti
ispira poca fiducia.”
“Non mi fido ciecamente di
chiunque, come ogni Cavaliere assennato.”
“Ursula…” Lady Vermin batté la
zampina posteriore sul granito.
“Per quanto mi sforzi di
ricordare che non è vero, sono morta e risorta. Anche se era un trucco
dell’Uomo-Bestia[ii],
ho sentito il dolore del laser della mia stessa arma contro la mia testa. Avevo
scelto di uccidermi pur di non cadere vittima del suo controllo mentale.
Avevo…” la sua voce stava inconsapevolmente raggiungendo un livello quasi
isterico. Riuscì a frenarsi dando un potente pugno contro il pozzo, staccandone
dei mattoni. Il ratto evitò quel colpo saltando via all’ultimo istante.
Finalmente, ansando, Ursula
riprese il controllo. “Anche se capisco le ragioni della dolce Bova per avere
preso parte a quell’ignobile sciarada[iii], non
puoi chiedermi di fidarmi dei lupi, Lady Vermin. Persino colui che avrebbe
dovuto redimerne il nome ai nostri occhi, Sir Wulf, ci ha abbandonati!”
Le ali del mini-jetpack di
Vermin si estesero, e lei volò su, fin quasi contro il muso ursino. Se mai si
era visto un ratto arrabbiato, quella era l’occasione. “Per cominciare, stai
mancando di rispetto a Bova, parlando in questo modo! Lei ci ha detto che Wulf
ha scelto di lasciarci per poterci liberare dalla minaccia dell’Uomo-Bestia una
volta per tutte. Non ti fidi della sua parola?”
“…”
“E inoltre, nessuno ti ha
chiesto di fidarti dei lupi o di chicchessia: ti viene chiesto, come Cavaliere,
di fidarti del tuo onore! Di
combattere per la tua gente. O sei
disposta a mettere te stessa sopra l’interesse della comunità, come fece Bagheera?”
Fu come darle una sferzata. La
grizzly tornò a mostrare un’espressione granitica. “Niente viene prima
dell’onore di un Cavaliere. Perdonami per il mio cedimento, Lady Vermin. Non si
ripeterà.”
Il ratto sospirò -sapeva
benissimo, eccome, che il problema si sarebbe ripresentato, e nel momento meno
opportuno. Tornò a guardare verso il basso. “Vorrei chiedere al Conte a cosa
servisse questo pozzo…le senti anche tu?”
Le tonde orecchie della sua
compagna fliccarono. “No. Solo la corrente che viene da laggiù.”
Vermin aguzzò ulteriormente le
sue, di orecchie. I ratti potevano captare frequenze che sfuggivano persino ai
felini o ai canidi…e lei era sicura di udire delle voci umane, venire da
quell’abisso senza fine…voci deboli, ma indubbiamente cariche di angoscia…
Bambini?
Stava diventando
un’ossessione, non poteva fare a meno di cercare di distinguerle, di trovare
delle parole in quei flebili lamenti. Vermin non si accorse di essersi portata
sul centro del pozzo.
Quando Ursula urlò il suo
nome, era troppo tardi: si era gettata verso il basso a tutta velocità!
“VERMIN!” Ursula stese di riflesso il braccio, ma naturalmente era
troppo tardi. Nonostante le dimensioni ridotte, il jetpack era capace di
prestazioni molto elevate. L’orsa vide il puntino bianco che era il corpo della
sua amica sparire nel buio molto in fretta.
La
sua reazione fu non meno rapida ed istintiva: saltò oltre il bordo e si lasciò
cadere nel pozzo. Solo a quel punto, sentì il rumore del crollo di una delle
torri, ma non poteva farci niente…
Rahn era di ricognizione
all’esterno. L’aria era il suo dominio, e lui lo percorreva in lungo e in largo,
assaporando ogni atomo d’aria che scorreva fra le sue piume.
La sua armatura era un piccolo
capolavoro di ingegneria, una vera estensione del suo corpo, non solo una
protezione. Sottilissime guaine autopolarizzanti e porose gli garantivano una
protezione contro colpi fisici, lasciando respirare il piumaggio sottostante.
Le ali meccaniche telescopiche rispondevano ai suoi comandi come ali vere. Il
gruppo propulsore lo rendeva veloce come una scheggia.
Rahn sorvolò la foresta
intorno al castello. Ne approfittò per gettarsi fra le fronde e mettere alla
prova la sua abilità volando fra i rami più fitti. Nessuna simulazione nella
cittadella poteva rendere completamente l’ebbrezza di questa esperienza in un
ambiente reale.
Gli ornitoidi di Wundagore, e
Rahn in particolare, erano i più superbi, i più vanesi secondo le malelingue.
Si affidavano raramente ai destrieri, a volte mettevano a dura prova lo spirito
di cooperazione. Erano le unità mobili speciali, i migliori ricognitori e
difensori dell’ambiente aereo. E lo sapevano benissimo.
Il falco emerse come un
missile dalle fronde. Rahn si sentiva onorato di essere stato scelto per questa
lunga missione: non disprezzava le proprie responsabilità, ma non per questo si
sentiva obbligato a stare col sale sulla coda. Fin quando poteva, avrebbe
svolto da solo i suoi…
Hm?
In quel momento, i suoi occhi
furono attratti dal castello…
…dal crollo della torre est.
Senza esitazioni, il falco si
diresse in picchiata verso quello scenario. Maledì brevemente la struttura
malamente curata del castello, prima di pensare solo a salvare il suo compagno.
Concentrato com’era su quel
compito, Rahn non si accorse subito di un leggero cambio nella corrente d’aria…
Se ne accorse eccome, quando
una raffica di una potenza insospettata lo gettò verso il basso come una foglia
al vento!
Colto di sorpresa, arrivò ad
un passo dallo sbattere contro una guglia, prima di riuscire a riprendere quota
all’ultimo istante.
E
solo allora poté osservare la terribile trasformazione del cielo, da quieto
manto stellato a mostruoso calderone ribollente!
Non c’erano stati segni di
preavviso, nessun fenomeno o sensazione che potessero preludere all’evento.
Ma stava succedendo.
Sangue. Sangue stava colando
dalle pareti, dal soffitto, da ogni poro delle pareti. E non era un’illusione,
era vero. La puzza era soffocante, e insieme al sangue giungevano le grida di
bambini! Versi carichi di angoscia, che facevano drizzare il pelo alla pantera,
i cui piedi venivano rapidamente coperti dal sangue. La spada nella sua mano
era solo un’inutile orpello, contro una minaccia che non aveva carne ed ossa,
un corpo da colpire…
E il sangue continuava a
colare…